Ramona Munteanu: perseveranza, studio, abnegazione. Ma anche leggerezza, slancio emotivo, senso di libertà
La musica – la musica classica, quella che frequenta e ama fin da quando era bambina – vive di questi punti irrinunciabili. Ramona Munteanu, 37 anni, nata a Cluj-Napoca, in Romania, ma veneziana d’adozione, traccia così le linee del suo essere musicista. Musicista professionista che, da subito o quasi, ha detto sì al progetto Kleisma: «Mi sono iscritta dopo aver consultato diversi siti su Internet, perché come i miei colleghi sono sempre interessata a espandere la mia attività concertistica o nel campo dell'insegnamento. E in Kleisma - continua - ho trovato disponibilità e passione da parte di chi lo gestisce, persone molto presenti anche nel rapporto umano con gli iscritti alla piattaforma».
Secondo lei quindi è utile anche per professionisti ben avviati come lei?
Io penso di sì. Di carattere sono abbastanza ottimista e mi piace dare credito alle persone e alle situazioni. Per noi musicisti di musica classica o musica seria, come vogliamo chiamarla, non è sempre facilissimo avere un giro di concerti. A volte, per esempio, veniamo chiamati a suonare da associazioni o persone che ci chiedono di suonare a titolo gratuito, il che credo sia anche una mancanza di rispetto nei nostri confronti. Insomma, si vogliono musicisti bravi ma poi non si hanno gli strumenti per dare il giusto valore a quello che facciamo. Noi, che studiamo da una vita…
Lei ha iniziato prestissimo, da bambina. Sono stati i suoi genitori a spingerla verso la musica?
I miei genitori sono ingegneri, ma i miei nonni paterni erano entrambi appassionati di musica. Hanno provato a far studiare il violino a mio padre, ma dato che non mostrava interesse a riguardo, hanno pensato che potesse andare meglio con la nipote. E in me, quando ero piccolina, hanno trovato un terreno fertile. Io, poi, pian piano mi sono appassionata e nelle varie tappe della mia vita ho sempre scelto di proseguire con la musica. In Romania la scuola è un po' diversa e già dalle elementari si entra in una scuola con indirizzo musicale che finisce alla maturità. Dunque si studia musica per 12 anni, un percorso unico che arriva fino al Liceo Musicale, passando da elementari e medie. Se poi si decide di fare il Conservatorio...
È vero che le scuole d’arte, e di musica in questo caso, sono molto rigide nei Paesi dell’Est Europa? O è solo un cliché?
Non sono mai stata in Russia oppure in altri Paesi dell’est Europa a studiare, quindi non so come si lavora da quelle parti, però il sistema sarebbe simile. Diciamo che in Romania è abbastanza trito, entri da bambino dopo aver passato alcuni test e sei già quasi predisposto per diventare un musicista vero. Si studia dal principio teoria, solfeggio e altre materie teoriche oltre alle lezioni di strumento bisettimanali. Si fanno esami due volte all’anno, oltre a saggi e concorsi. C’è un sistema ben costruito che ti offre la possibilità di fare il musicista che però, probabilmente, lascia poca libertà, poco spazio al divertimento. Quella del musicista classico rimane comunque una vita di sacrificio, ma vale assolutamente la pena soltanto se hai la passione… Io lo rifarei ancora mille volte se dovessi tornare indietro. Adesso anche in Romania sono arrivate scuole private e sistemi alternativi, ma ovviamente la scuola più prestigiosa è sempre quella in cui ho studiato io, nella mia città.
Ha studiato anche in altre parti del mondo. Quali differenze nel metodo didattico?
A Venezia ho frequentato il biennio specialistico in pianoforte, mentre negli Stati Uniti, in Spagna e in altri Paesi soltanto dei corsi estivi o di qualche settimana o mese, quindi non mi sono fatta un’idea precisa di come funziona in altre parti del mondo. Quello che ho notato però negli Usa, così come in Italia, è una maggiore libertà di pensiero, di espressione individuale, che con me, ad esempio, ha funzionato.
In che modo?
Arrivare da un ambiente un po’ rigido di vedere le cose in un modo più aperto, perché per noi il fattore psicologico ed emozionale conta molto. Quindi dipende anche qui con chi hai a che fare. Però il mondo della musica è pieno di personalità differenti e non si può generalizzare. Ad esempio ora lavoro a Udine e a Padova e ho a che fare con tantissimi musicisti. Ci sono vari livelli, da quelli più bassi a quelli altissimi.
In quei contesti insegna musica?
Lì sono collaboratore pianistico. Significa che suono con cantanti e con vari strumenti, dal violino al flauto, passando per il clarinetto, il violoncello e altri strumenti: praticamente sono accompagnatore durante gli esami degli studenti. In questo momento lavoro facendo questo nei conservatori e spero in futuro di poter insegnare pianoforte.
Che metodo userebbe? Sarebbe rigida o lascerebbe spazio alla leggerezza?
Cercherei, così come provo a fare in tutti gli aspetti della mia vita, di prendere ciò che c’è di buono in ogni cosa. Penso ci sia bisogno di avere disciplina e serietà quando si studia musica classica, ma allo stesso tempo non va dimenticato mai di godere di quello che si fa, avere piacere e gioia anche quando si studia, nonostante sia una cosa difficile. Poi bisogna pensare ai traguardi e alla bellezza di quello che si fa, ai brani, ai compositori, alla storia, un mondo meraviglioso.
Ne vale la pena dunque?
Ne vale la pena, perché poi è una vita di grandi soddisfazioni ed è sempre in un certo senso come non lavorare, perché se fai ciò che ami davvero vuol dire esercitare la tua passione. Come diceva Confucio: “Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. Per certi versi passo da essere professoressa a essere un’eterna studentessa, nel senso che sono sempre sotto a studiare, imparare nuove cose, nuovi repertori, migliorare me stessa come musicista. Ma non ho quel peso di una persona che sente di sprecare la sua vita facendo un lavoro che è obbligata a fare.
Come è arrivata a studiare a Venezia?
Con una borsa Erasmus, l’interscambio culturale con l’università di Cluj-Napoca, la mia città di origine. Poi, come dicevo, mi sono fermata per fare il biennio.
A proposito di Venezia, che ricordi di quando ha suonato alla Fenice?
È stata un’esperienza stupenda, un’iniziativa del Conservatorio di Venezia, che ha iniziato la collaborazione con La Fenice lanciando un concorso per i migliori studenti che venivano selezionati per suonare con l’orchestra del teatro. Sono stata fortunata a essere scelta e spero si possa ripetere come esperienza.
Quanto è importante spaziare nelle esperienze professionali?
Io amo suonare sia come solista sia come musicista da camera, però anche insegnare è bellissimo. In questi tempi è richiesto un po’ di tutto e non puoi permetterti di fermarti su un’unica cosa, devi essere sempre pronta a fare cose diverse e, ovviamente, più rispondi alle chiamate più hai possibilità di lavorare.
Ci parla dell’attività con il pianoforte a quattro mani, che ha portato avanti in vari festival?
Un’esperienza bellissima che ho fatto per tanti anni. Prima in Romania, con due pianoforti e quattro mani, poi anche in Italia dove facevo parte di un duo. Si spaziava da trascrizioni di brani orchestrali come per esempio la “Sagra della primavera” di Stravinsky a brani scritti apposta per quattro mani, come sonate di Mozart, “Danze ungheresi” di Brahms oppure la magica “Fantasia” di Schubert e tanto altro... Trovare due pianisti identici è impossibile ed è facile scontrarsi suonando lo stesso strumento anche a livello di personalità, perciò diciamo che è un’attività parecchio impegnativa. Ma ci si diverte e si impara a comprendere l’altro.
Che passioni ha oltre alla musica?
Mi piace molto viaggiare, esplorare posti sconosciuti o rivedere luoghi cari. Non ho molto tempo libero però a volte è necessario prendersi una pausa, per ricaricarsi. Mi piace poi leggere, soprattutto di filosofia e psicologia. Mi piace ballare, fare yoga. Amo andare alle mostre d’arte, passare tempo con il mio fidanzato, con gli amici. Ogni tanto vado a trovare la mia famiglia che abita in Romania. Oltre alla musica, dedicare tempo agli affetti e a tutto quello che arricchisce lo spirito ha grande importanza per me.
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