Il blues, una chitarra e una voce che abbraccia entrambi. Eliana Cargnelutti è una chitarrista con le idee chiare, sulla sua musica e su come condurre la propria professione. Che si parli di blues, di rock blues o si scivoli più verso il funk, l’anima più jazzy, l’acustico o il classic rock, poco importa. Importano invece le connessioni che si creano di progetto in progetto, live dopo live. In Italia certamente, perché vive a Udine, ma soprattutto all’estero, come in occasione del tour in Inghilterra “Ladies of The Blues”, un giro di nove date programmato per novembre 2018 insieme ad altre due band, Lee Ainsley's Blues Storm e The Zoe Green Band. «Io partecipo con il mio trio rock-blues», racconta Eliana. «Quindi il mio bassista, Simone Serafini, e il mio batterista, Carmine Bloisi. “Ladies of The Blues” è una tournée annuale che organizza l’agenzia di booking inglese Solid Entertainments, e ogni anno si divide in due parti: uno per i big e uno per gli emergenti. Io faccio parte di questi ultimi, i big faranno la tournée a maggio».
È molto diverso il lavoro all’estero rispetto all’Italia?
Certamente all’estero c’è più cultura del lavoro, per un lavoro che in Italia non viene per nulla riconosciuto come tale. In tutte le altri parti del mondo, però, c’è rispetto e considerazione. Quando parli di date, qui in Italia spesso ti invitano a suonare quando c’è posto, insomma quando c’è da “riempire un buco”. All’estero per esempio chiedono quale data andrebbe meglio per te, quando è più comodo. In questo senso parlo di rispetto del lavoro. Stesso discorso per quanto riguarda il budget, all’estero ti chiedono qual è il cachet e così si regolano di conseguenza. Quando arrivi ti fanno trovare un catering già pronto, mentre spesso in Italia non c’è nemmeno un camerino ad attenderti. Ma io parlo della mia esperienza: ad esempio mi sono sempre trovata bene in Germania, dove c’è una grande passione per il rock e il rock-blues, come solo in America può esserci.
Incide anche per un’etichetta tedesca, la Ruf Records.
L’etichetta ha base in Germania, ma si muovono in tutta Europa e anche in America, grazie al lavoro di Thomas Ruf, il capo della casa discografica che produce anche molti artisti americani e inglesi, ed è stato a capo dell’European Blues Union. Per Ruf Records ho inciso il mio secondo cd “Electric Woman”, uscito nel 2015; il mio primo cd, “Love Affairs”, è invece uscito nel 2013, su etichetta VideoRadio.
Perché il blues? Cosa l’ha affascinata?
Sono sempre stata appassionata di rock, fin da bambina. Più tardi ho suonato tanto metal, in particolare la musica dei quattro capisaldi del metal: Metallica, Slayer, Megadeth e Anthrax. Una volta però – avevo 14 anni – sono andata a casa di un amico appassionato di blues che aveva iniziato a suonare la chitarra. Me lo ricordo bene quel giorno: abbiamo messo su una videocassetta di Stevie Ray Vaughan, capostipite del rock-blues, diventato subito uno dei miei chitarristi preferiti: è stato un colpo di fulmine. Mi è arrivato questo uragano di emozioni… È successo così che io mi sono innamorata del blues e questo mio amico del metal.
Ha trovato nel blues quella apertura che mancava nel metal?
Il blues è un riuscire a sfogare la propria cattiveria. Al pari del metal, ma nel blues ho trovato maggior calore ed è come se avessi sentito che quello era il genere che mi sarebbe piaciuto di più abbracciare.
La sua formazione è passata attraverso il Conservatorio.
Sì, terminate le scuole superiori sono andata al Conservatorio jazz, a Ferrara. Ormai suonavo già in tutto il Friuli e volevo uscire di casa, fare esperienza da sola e in una città dove c’era un bel giro di musicisti. Ferrara si è rivelata molto carina, con un bell’ambiente jazz e blues, a due passi da Bologna.
Cosa le ha dato il Conservatorio?
Esattamente ciò che mi aspettavo, ovvero quella preparazione che poi ha solo chi lo frequenta. Mi ha dato versatilità, capacità di suonare ogni genere musicale, sempre con musicisti diversi. Ogni giorno suonavo con dieci, quindici persone diverse. Quindi capisci altri mondi, gli altri musicisti, cosa pensano mentre suonano. È anche un’occasione per studiare la storia della musica, di parlare di gusti musicali, di strumentazione, di scambio di dischi. E il confronto è stato ottimo, un aprirsi agli altri.
Com’è la situazione musicale a Udine?
C’è di tutto, dal metal al blues, al pop. Cercando bene si trova di tutto. Ma ci sono pochi esponenti di livello per genere ed è difficile trovare da suonare ogni giorno. Però in genere si riesce a essere pagati più che a Roma, a Milano o al resto dell’Italia. E anche per questo, oltre che per la mia famiglia che vive qui, ho scelto di rimanere di base a Udine.
Tornando alla versatilità, molto importante per chi fa il suo mestiere: tra i mille progetti che segue c’è Strange Kind of Women. Di che si tratta?
È un progetto che cercavo di realizzare da un paio d’anni. Sono da sempre una grande fan di Ritchie Blackmore e dei Deep Purple e ho pensato che non esisteva ancora al mondo una tribute band solo femminile. Ma la difficoltà stava nel trovare musiciste all’altezza e dopo una prima formazione ho trovato l’appoggio di Paola Zadra (basso) e Paola Caridi (batteria): insieme, tra l’altro, hanno composto la sezione ritmica dell'ultima tournée di Fedez. Alla voce c’è invece Alteria, cantante piuttosto conosciuta. Ha funzionato. Abbiamo registrato un video live al Massive Arts Studio di Milano che è diventato virale, con oltre 4 milioni di visualizzazioni. Da lì si è messa in moto la machina che ha portato agenzie di booking e ingaggi. Abbiamo infatti programmato il calendario 2019, tra Germania, Belgio, Svizzera, Olanda, Germania, Italia, Francia, Bulgaria, Inghilterra (dove suoneremo per dieci date). Si parte a gennaio. Credo sia una prova del fatto che se c’è un’idea di qualità viene sempre riconosciuta.
Ha fatto anche diverse esperienze negli Usa. Cosa l’ha colpita maggiormente?
La mia prima volta negli Usa è stata nel 2009 in Mississippi, Alabama, Tennessee, Texas e dopo ogni due o tre anni ci sono tornata. La cosa bella è che lì anche le persone famose vengono a parlarti tranquillamente, specie nel Sud, dove c’è più il giro blues. Noi all’inizio facevamo delle piccole jam in giro ma più vai avanti, grazie agli amici e ai contatti che crescono man mano, riesci a entrare in queste foundation blues, che ci sono più o meno in ogni Stato… Inoltre, nel 2014 ho firmato un contratto con la Ruf Records, che nel giro blues è famosa e questo mi ha aperto ancor più le porte. Ho visto anche New York e l’ambiente jazz, quello più rock di Los Angeles, quello più blues di Arkansas, Louisiana, Mississippi e mi sono fatta un po’ un’idea di dove c’è più lavoro. Quest’anno sono tornata in Mississippi e sono scesa anche a New Orleans, in Louisiana. Ho conosciuto molti artisti underground e ci siamo scambiati materiale, cd e altro, ho suonato con loro e inciso delle tracce.
Lei è anche insegnante. Su cosa punta con i suoi allievi?
Ho iniziato a insegnare quando avevo 16 anni e ho continuato anche a Ferrara per pagarmi gli studi. Seguo tanti bambini piccoli, perché le mamme li portano più volentieri a lezione da una ragazza. Questa attività mi ha permesso di lavorare di più sulla propedeutica, cosa che al Conservatorio non ti insegnano. Ovvero come insegnare ai bambini, tema su cui ho frequentato anche dei seminari e studiato diversi metodi. Faccio tante canzoni, e a volte li invito sul palco con me per delle jam session o a suonare le canzoni che hanno imparato. Il che è un po’ quello che faceva il mio maestro con me quando avevo 14 anni, invitata sui palchi a suonare il blues. Si lavora sul repertorio, trovando le canzoni giuste da suonare a seconda delle carenze di ognuno. Cerco sempre di farli cantare, se sono intonati. Perché è importantissimo cantare fraseggi e parole, per essere il più musicale possibile.
E il canto è un’altra componente importante del suo lavoro.
Sì, una cosa che mi è sempre venuta naturale da quando avevo 17 anni. Da qualche anno sto anche prendendo lezioni per affinare la tecnica. Un po’ di tecnica ci vuole.
Oltre alla musica che passioni coltiva?
In realtà ho poco tempo per altro. Ho fatto tanto sport in passato. Mi piace la fotografia, la cucina, la moda, tantissime cose che però non pratico molto. Lavoro a tanti progetti, anche se qualcuno mi dice che farei bene concentrare tutte le mie forze su uno solo. Ma mi dà soddisfazione, ad esempio, entrare in un locale e conoscere delle persone che fanno eventi e tu hai tutta una gamma di offerta, dal gruppo rock all’acustico, da blues al jazz, al gruppo tribute. Questo però mi permette di suonare tanto e reinvestire quello che guadagno nei dischi, nei tour, nel mio lavoro.
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